Il settore manifatturiero italiano ha saputo assorbire il colpo della crisi Covid meglio di quanto previsto, archiviando il 2020 con un calo di fatturato del 9,3% a prezzi costanti: un valore significativo, certo, ma molto meno severo della flessione del 16% verificatasi dopo la crisi finanziaria del 2009. Merito del rimbalzo registrato a partire da maggior 2020, più intenso di quello osservato in altre fasi cicliche. Trapela ottimismo dall'ultimo Rapporto analisi dei settori industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia, secondo il quale le spinte di ripresa sono arrivate sia dal mercato interno che da quelli internazionali: in questi ultimi, in particolare, le esportazioni del Paese (-8,8%) hanno mostrato maggiore capacità di tenuta di Germania (-9,1%) e Francia (-16%).
Molto pesante è stato, come prevedibile, l'impatto dei lockdown di marzo e aprile, che sono costati alle imprese una perdita di ricavi per il 2020 pari a circa 90 miliardi, anche se il 2021 è iniziato con prospettive di rafforzamento robuste. Secondo gli analisti che hanno elaborato il report, i livelli precedenti al Covid saranno recuperati già nel 2021 a prezzi correnti, e a inizio 2022 a prezzi costanti. La spinta dell'inflazione, in particolare, riflettendo rincari sul fronte delle materie prime industriali, comporterà entro fine anno un assorbimento completo del gap accumulato sui livelli di fatturato precedenti alla pandemia: a questo dato si aggiungeranno l'accelerazione della ripresa interna e il dinamismo degli scambi internazionali.
Per garantire questo recupero, gli investimenti saranno chiamati a giocare un ruolo cruciale. La grande occasione è rappresentata dai fondi del Next Generation Eu e da come questi verranno convogliati all'interno del Pnrr. Secondo le stime, a prezzi costanti l'apporto di queste risorse si rifletterà in una crescita di fatturato del 2,6% annuo nel biennio 2023-25. L'impiego dei fondi dovrà riguardare soprattutto quei settori dove l'Italia sconta ancora un divario importante rispetto agli altri mercati avanzati: su tutti, la digitalizzazione dei servizi di vendita e delle infrastrutture, dall'e-commerce alla fibra ottica all'Esg.
Diverso invece il caso della digitalizzazione dei processi produttivi: l'indagine mostra infatti che l'Italia già prima dell'emergenza sanitaria era ben posizionata in questo comparto, che va dal cloud alla robotica all'intelligenza artificiale, specialmente nei campi dell'elettronica e della meccanica. In media, questi due settori cresceranno del 6,6% e 6% nel quinquennio 2021-25, con effetti a cascata su automotive (6%), prodotti in metallo (+5%) e metallurgia (+3,9%). (riproduzione riservata)