La crisi di liquidità sull’Euronext Growth Milan (Egm), segmento di Borsa Italiana dedicato alle pmi, è arrivata a un punto critico. Uno studio della boutique di consulenza e ricerca azionaria indipendente KT&Partners, visionato in anteprima da MF-Milano Finanza, mostra dati poco incoraggianti: nel primo trimestre di quest’anno il controvalore degli scambi su Egm è stato di appena 813 milioni di euro, il 37% in meno rispetto a gennaio-marzo 2022 (da segnalare che lo scoppio della guerra in Ucraina ha avuto un certo riverbero sulla liquidità del periodo), e il numero di scambi è sceso a 331 mila, segnando una flessione del 30%. Nello stesso periodo soltanto lo Star ha fatto peggio, con un controvalore in calo del 40% ma comunque superiore ai 5 miliardi.
Andando più in profondità, le 160 società considerate dall’analisi (sono state incluse quelle già quotate a inizio 2022 e ancora presenti il 30 aprile 2023, per non distorcere i risultati) hanno registrato un turnover medio inferiore ai 50 mila euro contro i 90 mila dello scorso anno (-45%). Il valore mediano è sceso da 32,4 a 26,5 mila euro: comunque una discesa del 18%.
Quello che il rapporto mostra con chiarezza è che sull’Egm si è creato un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. «Notiamo che una buona parte delle quotate sul segmento ha valutazioni ragionevoli», spiega Kevin Tempestini, fondatore e ceo di KT&Partners, «e questo lo vediamo nei premi sostanziali che emergono ogni volta che c’è un’opa».
La media dei premi pagati rispetto al giorno precedente all’annuncio dell’opa, per i delisting del 2022, è risultata pari al 41%, per arrivare quasi all’80% nel caso di Finlogic, tra quelle annunciate. «È evidente che queste società sono sottovalutate, ma nessun investitore istituzionale riesce a investirci per ragioni legate anche alla scarsa liquidità». La dinamica che si può leggere tra le righe del rapporto è grosso modo questa: gli istituzionali entrano al momento dell’ipo, poi si abituano al fatto che il titolo rimane illiquido per un certo periodo di tempo, fino a che non interviene un interesse specifico, come un’operazione straordinaria o un’opa per il delisting. «Di fatto i fondi entrano con quote significative sul flottante e si comportano come azionisti di lungo periodo: per creare nuove posizioni in queste società ci possono volere anche mesi, perché chi è dentro dal momento dell’offerta pubblica di acquisto tende a non uscire», sottolinea Maria Teresa Di Grado, senior analyst di KT&Partners.
Come superare la situazione di stallo? «Lato emittenti bisogna rendersi conto che il flottante va alzato: a volte si quotano società anche con meno del 15% di flottante e questo fattore potrebbe incidere sulla la liquidità», prosegue Tempestini. «E poi devono nascere sempre più operatori specializzati in pmi italiane, con la consapevolezza che, numeri alla mano, è difficile che un’azienda resti sottovalutata nel lungo periodo. E che in caso di delisting i premi sono importanti».
Lo studio svela infine una certa dispersione tra le quotate su Egm: se il numero di società con un turnover sopra gli 80 mila euro è rimasto pressoché invariato su base annua (circa 25), si è assistito a una maggiore polarizzazione che ha visto scendere quelle con liquidità tra 10 e 80 mila (18 quotate in meno) e aumentare quelle con controvalore minore di 10 mila euro (18 in più). «L’Egm è segmentato e gli investitori lo sanno», conclude Tempestini. «L’interesse degli istituzionali va su un cluster di 60-80 titoli, alcuni dei quali sono anche candidati a passare allo Star nel giro di qualche anno». (riproduzione riservata)