Derivati Ue a 735 mila miliardi
Derivati Ue a 735 mila miliardi
I dati dell’Esma a fine 2018 indicano un aumento del dato dell’11% rispetto all’anno prima. In crescita gli strumenti sui tassi di interesse. Esposizioni concentrate in pochi soggetti

di Francesco Ninfole 11/12/2019 02:00

Ftse Mib
33.508,24 10.43.00

-1,10%

Dax 30
17.650,72 10.42.35

-1,05%

Dow Jones
37.775,38 10.32.53

+0,06%

Nasdaq
15.601,50 7.25.11

-0,52%

Euro/Dollaro
1,0644 10.27.37

-0,14%

Spread
143,26 10.57.47

+0,64

Il mercato europeo dei derivati ha raggiunto a fine 2018 un valore nozionale lordo di 735 mila miliardi di euro, con una crescita annua dell’11%, dovuta in gran parte all’aumento degli strumenti su tassi di interesse. Il numero di contratti è invece sceso a 66 milioni (-33%). È quanto emerge in un rapporto dell’Esma, l’autorità europea per i mercati finanziari, che ha pubblicato per il secondo anno i dati trasmessi dagli operatori secondo le nuove indicazioni della direttiva Emir (European Markets and Infrastructure Regulation).
L’ammontare nozionale lordo dà un’idea delle dimensioni del settore poiché indica il valore delle attività a cui si riferiscono i derivati, anche se non rappresenta in modo diretto un indice del rischio, misurato dal valore di mercato (non comunicato dall’Esma). Inoltre il dato non considera il netting delle società. In ogni caso il valore nozionale lordo, che è circa 45 volte il pil dell’Ue, lascia intuire il peso che hanno raggiunto i derivati rispetto all’economia reale. Gli strumenti sono nati per la protezione dei rischi (per esempio per trasformare un tasso variabile in uno fisso) ma sono diventati anche un modo per scommettere sui mercati. Probabilmente è successo anche negli ultimi anni, come conseguenza dei bassi rendimenti di mercato. I derivati sono di solito contabilizzati nei bilanci delle banche come titoli illiquidi: la loro natura è spesso opaca e difficile da vigilare. Scarsa trasparenza e dimensioni del mercato sono caratteristiche che preoccupano molti osservatori. Inoltre, come ha rilevato ieri l’Esma, «le esposizioni sono molto concentrate in poche controparti, soprattutto società di investimento, banche e controparti centrali». Questi soggetti, che hanno sede principalmente nel Regno Unito, sono «ampiamente connessi con gli altri operatori di mercato».
Proprio per ridurre il pericolo di crisi sistemiche il regolamento Emir in Europa ha previsto che una parte dei derivati debba essere scambiata attraverso controparti centrali: le clearinghouse riducono il rischio che il fallimento di un singolo operatore (per esempio una banca come Lehman Brothers) possa produrre effetti devastanti sull’intero sistema finanziario. Alla fine dello scorso anno erano su controparti centrali derivati su tassi per il 63% del totale, mentre quelli creditizi erano al 25%. Nel complesso il mercato è dominato da contratti sui tassi di interesse, che pesano per il 76% del valore nozionale totale. I derivati su valute valgono il 15% del totale, quelli su azioni il 6%, quelli creditizi il 2%, quelli su commodity l’1%. Il 90% degli strumenti è over-the-counter (otc), ovvero è scambiato fuori da mercati regolamentati. (riproduzione riservata)