I risparmiatori americani hanno perso l’opportunità di avere 42 miliardi di dollari in più nel terzo trimestre di quest’anno perché hanno lasciato i loro risparmi parcheggiati presso le più grandi banche statunitensi che remunerano a zero o quasi i depositi, nonostante la Fed abbia alzato i tassi al livello più elevato da 14 anni, invece di parcheggiarne almeno una parte nei conti ad alto rendimento le cui remunerazioni superano in media il 2% annuo.
Remunerazione quasi a zero
Il calcolo arriva da un'analisi del Wall Street Journal sui dati di S&P Global Market Intelligence secondo cui le cinque banche Bank of America, Citigroup, JPMorgan Chase & Co., U.S. Bancorp e Wells Fargo & Co., hanno pagato in media un interesse dello 0,4% sui depositi, mentre i cinque conti di risparmio con il rendimento più elevato hanno pagato in media il 2,14% nello stesso periodo, secondo i dati di Bankrate.com. Questi operatori detengono collettivamente circa la metà di tutto il denaro detenuto presso le banche commerciali statunitensi in conti di risparmio e del mercato monetario monitorati dalla Federal Deposit Insurance. Quella quota è rimasta stabile nonostante la disponibilità di tassi più elevati altrove. Il gap di 42 miliardi nel terzo trimestre è stato l'importo più elevato dall'inizio della rilevazione dei dati nel 2014, ma sarà probabilmente ridotto nel quarto trimestre, afferma l’analisi, perché i principali conti di risparmio ad alto rendimento hanno aumentato i loro tassi di interesse a oltre il 3,5%. Dall'inizio del 2019, gli americani hanno perso almeno 291 miliardi di dollari di interessi mantenendo i propri risparmi nelle cinque maggiori banche. Quel totale sale a 603 miliardi dal 2014, considerando che il tasso medio pagato da queste cinque banche dal 2014 è stato dello 0,24%, compresi i conti del mercato monetario ad alto rendimento e alcuni conti aziendali, mentre considerando soltanto i conti tradizionali il tasso scende allo 0,02% e quindi la perdita teorica aumenta.
Inerzia della domanda
Le cause di questo mancato spostamento verso conti più remunerativi sono molteplici e derivano sia da dinamiche sul fronte dell’offerta sia della domanda: a volte l’apertura di un nuovo conto comporta troppo tempo (anche se online i tempi si riducono), altre volte manca la consapevolezza di quanto si potrebbe ottenere in più cambiando, per altri invece il problema di guadagnare di più non si pone. Sul fronte dell’offerta molte banche inoltre hanno fidelizzato i clienti tramite la tecnologia o tramite sconti e buoni premio e quindi riescono ad attirare clienti stabili a basso costo senza essere costrette ad aumentare la remunerazione dei conti sulla scia dell’aumento dei tassi della Fed. D’altra parte grazie agli assegni di sostegno e di disoccupazione erogati dagli Usa per la pandemia i cittadini americani, spiega ancora il Wsj, hanno dirottato 425 miliardi di dollari nei conti delle banche Usa e la quasi totalità (95%) è andato proprio ai cinque maggiori istituti. Ora ci si chiede se sotto la pressione dei continui aumenti dei tassi da parte della Fed (che ha portato i tassi al 3,75%-4%) le banche saranno costrette ad aumentare la remunerazione dei loro conti tradizionali. Negli Usa i conti di risparmio ad alto rendimento sono garantiti per fallimento della banca fino a 250 dollari.
La fotografia in Italia
E in Italia? Anche nel mercato tricolore le grandi banche tradizionali non hanno aumentato i tassi dei conti correnti e d’altra parte invece i conti di deposito hanno allineato l’offerta all’aumento del costo del denaro varato dalla Bce da luglio in avanti (i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale sono stati innalzati rispettivamente al 2,00%, al 2,25% e all’1,50%, con effetto dal 2 novembre scorso). Dalle rilevazioni di Confrontaconti.it, emerge che attualmente le offerte più generose su un conto di deposito vincolato a 12 mesi arrivano al 2,5%. Mentre l’ultimo report mensile dell’Abi rileva che in ottobre il tasso praticato sui depositi è dello 0,37% in leggero aumento dallo 0,34% nel mese precedente, ma questo dato comprende non solo i conti correnti, perché rappresenta anche depositi a risparmio e certificati di deposito. Sempre l’Abi calcola che a fine ottobre l’ammontare dei depositi è di 1.835,8 miliardi (sono compresi depositi in conto
corrente, depositi con durata prestabilita al netto di quelli connessi con operazioni di cessioni di crediti, depositi rimborsabili con preavviso, pronti contro termine al netto delle operazioni con controparti centrali), in aumento tendenziale dello 0,1%. Difficile capire quanta parte di questa raccolta dei depositi sia parcheggiata in conti ad alto rendimento. Le cifre comunque non dovrebbero essere elevate anche perché in Italia a offrire questa tipologia di conti sono soprattutto istituti di nicchia senza sportelli, mentre le grandi banche sono assenti. E chiaramente una parte della liquidità non può essere vincolata perché deve essere tenuta a disposizione per eventuali emergenze. Ma tenuto in considerazione anche questo ultimo aspetto è certo che anche in Italia spesso l’effetto inerzia a restare nel proprio istituto di riferimento produce mancati guadagni, non elevati se considerati in modo unitario, ma se sommati tutti insieme per milioni di correntisti possono fare la differenza ed aumentare in modo considerevole la ricchezza privata anche perché i conti vincolati non prevedono commissioni a differenza dei conti correnti. Inoltre le banche italiane sono obbligate ad aderire al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi che garantisce ogni singolo depositante, per le disponibilità risultanti sul conto, fino a 100 mila euro. Le banche estere operanti in Italia invece non sono tenute ad aderire al Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi, ma possono limitarsi ad aderire al fondo obbligatorio nel proprio Paese di origine. (riproduzione riservata)