ChatGpt, l’intelligenza artificiale è davvero una minaccia o rimane un affare miliardario?
ChatGpt, l’intelligenza artificiale è davvero una minaccia o rimane un affare miliardario?
La lettera firmata da Elon Musk e il Garante della Privacy italiano sollevano dubbi su ChatGpt, dall’uso improprio dei dati ai rischi etici. Ma l’intelligenza artificiale attira gli investimenti miliardari dei colossi, compresi Amazon e la Cina. Che ora pensano al modo di monetizzarla 

di di Andrea Boeris e Marco Capponi 31/03/2023 21:00

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Per raggiungere il milione di utenti, calcola l’Ispi, Netflix ha impiegato tre anni e mezzo, Twitter due anni. A Facebook sono serviti 10 mesi, a Instagram soltanto due mesi e mezzo. Tempi biblici in confronto a quelli di ChatGpt, il super-software di intelligenza artificiale di OpenAI che ha tagliato il nastro del milionesimo utente dopo appena cinque giorni dal suo lancio. Altrettanto rapidamente però il chatbot, per la cui distribuzione Microsoft ha messo in campo 10 miliardi di dollari, si appresta ora a infrangere un altro record: quello di tecnologia con più nemici al mondo.

I nostri dati sono a rischio?

Il Garante della Privacy italiano è solo l’ultimo in ordine di tempo: con un provvedimento urgente l’Authority ha disposto con effetto immediato lo stop a ChatGpt, dando a OpenAI 20 giorni di tempo per conformarsi alle norme in materia di trattamento dei dati. Guido Scorza, avvocato componente del Collegio del Garante, individua tre criticità. Primo, «non è stata data alcuna informativa agli utenti sulle finalità del trattamento dei loro dati». Secondo, «non c’è una base giuridica che giustifichi raccolta e conservazione dei dati per addestrare gli algoritmi». E terzo, «spesso ChatGpt fornisce informazioni inesatte: un problema che può colpire la reputazione delle persone». In generale, Scorza pensa che il quadro normativo attuale sia efficace, ma crede anche che «servano nuove regole, ad esempio su cosa sia o non sia possibile fare con i dati ai fini dell’addestramento». Regole specifiche che ancora non esistono, e proprio questa mancanza è alla base della lettera dei 1.000 imprenditori ed esperti (ormai diventati circa 2.000) che, capitanati da Elon Musk, hanno chiesto di mettere in pausa per almeno sei mesi la ricerca e sviluppo su «sistemi di intelligenza artificiale più potenti di Gpt-4» che possono «generare profondi rischi per la società e l’umanità stessa».


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Quali sono gli effetti collaterali

Alessandro Perilli, ex dirigente in Red Hat (società acquisita da Ibm nel 2019) e oggi ceo della startup Unstable Reality, è stato tra i primi 40 firmatari della lettera, secondo italiano dopo il professor Gianluca Bontempi dell’università di Bruxelles. «Come molti firmatari non sono d’accordo su tutto quello che c’è scritto», spiega. «Non mi sembra realistico che si possa bloccare lo sviluppo di questi modelli di AI per sei mesi, peraltro un tempo irrisorio per tecnologie di questo tipo».

Perché allora ha scelto di firmare? «Ci troviamo in una situazione unica nella storia in cui gli stessi creatori della tecnologia hanno paura della loro invenzione». Il riferimento è alla recente intervista che il fondatore di OpenAI, Sam Altman, ha rilasciato ad Abc News, nella quale si è detto «un po’ spaventato» da quello che può fare il software e ha chiesto il «massimo coinvolgimento delle autorità di regolamentazione» nel corso della sua diffusione. «Questo è il senso della lettera», osserva Perilli, «attualmente stiamo rilasciando un prodotto senza supervisioni, guardando solo ai benefici e non agli effetti collaterali». Due lo premono particolarmente: «Un impatto sul mondo del lavoro superiore a quello di tutte le altre tecnologie fin qui sviluppate», e il cosiddetto «effetto Eliza, quello per cui le persone scambiano i messaggi dati dall’AI per quelli di persone reali». In pratica, gli utenti potrebbero “innamorarsi” di un chatbot (il fenomeno è documentato fin dal 1966) come nel film Her del 2013, in cui l’intelligenza artificiale ha la voce dell’attrice Scarlett Johansson. «Temo che senza controlli ci potrebbero essere effetti psicologici deleteri», conclude Perilli, che però precisa anche un punto fondamentale: «Nessuno vuole una situazione in cui le società tecnologiche si sentano strette dalla morsa della regolamentazione e della trasparenza imposta dall’alto e smettano di fare ricerca e investimenti in AI».

Corsa all’AI senza sosta

Le big tech stanno investendo cifre record per decine di miliardi sull’intelligenza artificiale generativa, quella di cui fa parte l’applicazione ChatGpt. Microsoft ha scommesso sulla società che l’ha prodotta, OpenAI, puntando circa 10 miliardi di dollari. Alphabet ha risposto investendo in Bard, il chatbot che si è presentato come vero competitor di ChatGpt. Ma si stanno muovendo anche Apple e soprattutto Amazon: il colosso delle spedizioni è al lavoro su un modello di intelligenza artificiale generativa da utilizzare all’interno del suo marketplace.

«La lettera» firmata da Musk e gli altri «sembra suscitare più il sospetto che ci siano preoccupazioni da parte di quelle società che risultano essere indietro nello sviluppo della tecnologia e che cercano di prendere tempo per colmare il divario», sottolinea Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Nel frattempo, tutto questo potrà sollevare tra gli investitori riflessioni sull’etica e la sicurezza dell’AI, ma soprattutto sollecitare i regolatori a vagliare sulle regole del gioco».

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Attenzione ad Amazon e Nvidia

Secondo Carlo De Luca, responsabile asset manager di Gamma Capital Markets, nell’AI «ci sono tantissime società medio piccole che saranno acquisite da quelle più grandi, a loro volta prede dei titani che conosciamo tutti, da Amazon a Meta, Microsoft, Google ed Apple». L’esperto cita in particolare Amazon che con il dipartimento Aws, «il più potente del mondo in questo momento, sta facendo passi avanti incredibili».

Ma attenzione anche all’esposizione più o meno indiretta all’intelligenza artificiale. «A questi nomi io aggiungerei anche Nvidia», prosegue l’esperto, «una società che crea schede grafiche chip blockchain e ha sviluppato un software per il cloud computing all’avanguardia. L’intelligenza artificiale può avere varie declinazioni e Nvidia è un player da monitorare».

Come si guadagna con l’AI?

Microsoft punta a sfidare il monopolista Google implementando ChatGpt nel suo motore di ricerca Bing, per ribaltare le quote di un mercato che oggi è per il 93% della società di Alphabet (162 miliardi di dollari fatturati da Google nel 2022 contro i 3,1 di Microsoft con Bing). Ma la vera sfida è riuscire a fare soldi attraverso l’AI e «ci sono vari modi in cui le sue applicazioni iniziano a essere monetizzate», spiega ancora Debach di eToro. «Le offerte premium con cui gli utenti pagano un abbonamento mensile o annuale per accedere a queste opzioni è il primo modo». Ma non è il solo.

Fondamentale è anche il ruolo dell’advertising. «Una parte significativa dei servizi di AI è sostenuta dalla pubblicità», prosegue Debach. «Le aziende possono inserire annunci pubblicitari all’interno dell’esperienza dell’utente, che vengono mostrati agli stessi utenti in base ai loro interessi e comportamenti, e la pubblicità mirata può essere particolarmente efficace per le applicazioni di AI». Non a caso Microsoft ha già annunciato che sta introducendo annunci nel suo motore di ricerca Bing basato sull’intelligenza artificiale. Il vice presidente del colosso Yusuf Mehdi ha confermato che «stiamo esplorando l’inserimento di annunci per condividere le entrate pubblicitarie con i partner i cui contenuti hanno contribuito alla risposta del chatbot basato sull’AI». Ma ovviamente un’altra grande fonte di monetizzazione possono essere gli stessi dati aggregati ottenuti dall’interazione degli utenti con i modelli di AI, che possono poi essere venduti.

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La variante cinese

Alla sfida naturalmente partecipa anche la Cina, dove i due colossi locali Alibaba e Baidu hanno già annunciato l’introduzione di soluzioni simili a ChatGpt. «Sicuramente è in Cina dove ci sono i team più talentuosi» sull’intelligenza artificiale generativa, spiega ancora Carlo De Luca. «Però c’è pochissima trasparenza, nel senso che non ci sono dati, non sappiamo quali sono le società, non sappiamo a quali punti siano arrivati i vari studi».

Ma quello che è certo è «che gli investimenti per ricerca e sviluppo» nel settore dell’AI «da parte dei cinesi hanno superato di gran lunga quelli degli americani, già da più di cinque anni, li hanno quasi raddoppiati». Questo significa che il Paese di Xi Jinping non si limiterà a fare da spettatore nella sfida globale sull’AI e molte realtà locali probabilmente prima o poi giocheranno anche loro un ruolo da protagoniste. (riproduzione riservata)