Amundi: ecco chi rende di più con l'inflazione in aumento
Amundi: ecco chi rende di più con l'inflazione in aumento
L'accelerazione dell’inflazione può ridurre le valutazioni azionarie. A sua volta, ciò può favorire una rotazione pluriennale dai titoli growth ai titoli value sia negli Stati Uniti sia in Europa. Bond indicizzati all’inflazione, notes a tasso variabile, materie prime, oro in primis, e i settori azionari collegati all'economia reale tendono a sovraperformare in un contesto di rialzo dell’inflazione

di Francesca Gerosa 11/05/2021 15:30

Ftse Mib
34.271,12 23.51.14

-0,27%

Dax 30
18.088,70 4.17.16

-0,27%

Dow Jones
38.460,92 7.57.39

-0,11%

Nasdaq
15.712,75 7.25.12

+0,10%

Euro/Dollaro
1,0712 8.05.56

+0,24%

Spread
140,44 17.29.29

+5,88

Le aspettative di un’inflazione più alta si sono tradotte negli Stati Uniti in tassi di inflazione di pareggio più elevati e in una curva dei rendimenti più ripida. Sul breve termine, i rendimenti dei Treasury Usa saranno soggetti a spinte rialziste limitate perché la domanda da oltreaceano potrebbe essere robusta: gli attuali rendimenti dei Treasury Usa appaiono appetibili agli investitori mondiali, hanno osservato Monica Defend, Global Head of Research, e Vincent Mortier, Deputy Cio di Amundi. Tuttavia, l’eventualità di spinte rialziste derivanti dall’aumento dell’inflazione, unitamente al rischio che la Fed possa rimanere dietro la curva, giustificherà un’esposizione prudente alla duration, ha suggerito.

Per quanto riguarda l’ambito obbligazionario, l’aumento dei rendimenti garantirà un approccio prudente e attivo alla duration mentre prosegue la ricerca di rendimento nell’intero spettro del mercato con un approccio globale non vincolato. Infatti, i rendimenti dei Treasury decennali Usa sono ritornati ai livelli pre-pandemia, con la curva dei rendimenti che si è irripidita per via dei forti stimoli fiscali, della ripresa dell’economia e dell’accelerazione dell’inflazione.

Inoltre, gli investitori dovrebbero utilizzare un approccio flessibile e andare alla ricerca del rendimento al di là dei benchmark. Attualmente i benchmark tradizionali mantengono un rischio di duration significativo, con rendimenti impliciti bassi. "Proprio per tale motivo, sarà fondamentale che gli investitori abbiano un’esposizione a diverse fonti di rendimento, con un approccio non vincolato che potrebbe essere utile a limitare il rischio di duration. Inoltre, sarà utile valutare l’idea di aumentare l’allocazione alle obbligazioni indicizzate all’inflazione, ai notes a tasso variabile e alle attività cartolarizzate, e sfruttare le opportunità relative value", hanno consigliato Monica Defend e Vincent Mortier, precisando che in un tale contesto possono risultare vincenti degli approcci absolute return che possono rafforzare i portafogli con una serie di strategie non correlate (valute, curve, settori) così da proteggere gli investitori contro l’aumento della volatilità delle obbligazioni e il rialzo dell’inflazione.

Invece, per quanto riguarda le azioni, "l’aumento dell’inflazione potrebbe ridurre le valutazioni, soprattutto quelle che sono già molto costose. Visto che l’obiettivo d’inflazione della Fed è ora spalmato su un orizzonte temporale più lungo, l’accelerazione dell’inflazione potrebbe risultare persistente e ridurre le valutazioni azionarie. A sua volta, ciò potrebbe favorire una rotazione pluriennale dai titoli growth ai titoli value sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Questa rotazione è già in corso ed è possibile che diventi un trend di lungo periodo", hanno previsto i due esperti.

Da una prospettiva cross-asset, è importante monitorare i diversi regimi inflazionistici per valutare le asset class che possono mettere a segno la migliore performance. "Il nostro Inflation Phazer individua a partire dal 1960 cinque regimi d’inflazione diversi analizzando i trend storici degli indicatori d’inflazione Usa più rilevanti, ovvero IPC, IPP, deflatore PCE core e costo unitario del lavoro. Il Phazer assegna a ogni regime una probabilità basata sulle nostre aspettative per diversi indicatori d’inflazione. Secondo il nostro modello, ci sono il 60%-70% di possibilità di avere un regime d’inflazione normale nel 2021, 2022 e 2023. Gli altri due regimi, quello deflazionistico e inflazionistico, hanno probabilità simili, ma che propendono leggermente verso quello inflazionistico", hanno spiegato.

Le asset class tendono a comportarsi diversamente nei vari regimi d’inflazione. Negli anni Settanta, la performance dell’azionario è stata deludente, mentre le materie prime sono state la classe di attivi più remunerativa. Storicamente, l’oro ha dimostrato di mettere a segno le performance migliori in un regime inflazionistico, anche se ha ottenuto buoni risultati in tutti e tre gli scenari (regime deflazionistico, regime normale e regime inflazionistico). È uno dei pochi attivi che ha registrato rendimenti positivi in ogni scenario. "Per il 2021, in un probabile regime d’inflazione normale, gli attivi alternativi potrebbero risultare interessanti. In uno scenario di questo tipo dove sono presenti alcuni rischi di un rialzo dell’inflazione, gli investitori dovrebbero aumentare la diversificazione, includendo attività che resistano meglio a un’inflazione più alta", hanno continuato.

Gli indici del credito hanno avuto la tendenza a mettere a segno la loro miglior performance durante i periodi di inflazione normale (2%-3%), perché di solito questo tipo di regime è accompagnato da una crescita economica e dall’appetito per il rischio sui mercati finanziari. D’altro canto, in un regime inflazionistico (inflazione dal 3% al 6%), a livello di politica monetaria è di solito in corso una stretta sui tassi, per cui gli spread si allargano e c’è una sottoperformance del credito. Com’era prevedibile, la performance relativa delle obbligazioni indicizzate all’inflazione rispetto al credito è allettante soprattutto in un regime inflazionistico.

"L’inflazione normale ha dimostrato di essere il miglior regime anche per l’azionario. I rendimenti azionari hanno registrato la loro miglior performance nei regimi di inflazione normale perché una salutare crescita dell’economia e le politiche monetarie accomodanti favoriscono la propensione al rischio sui mercati finanziari. Così come è successo sui mercati del credito, l’inasprimento della politica monetaria durante i periodi in cui l’inflazione è più alta (regime inflazionistico) pesa sui rendimenti degli attivi rischiosi perché al salire dei tassi d’interesse i rendimenti di gran parte degli indici azionari scendono al di sotto del 10%", hanno notato ancora Monica Defend e Vincent Mortier. Per cui, le soluzioni che puntano ai rendimenti reali con un’ampia gamma di classi di attività saranno interessanti in un normale regime inflazionistico con rischi rialzisti. Tra queste figurano gli attivi reali, le obbligazioni indicizzate all’inflazione, le notes a tasso variabile, le materie prime e i settori azionari collegati all’economia reale, che tendono a sovraperformare in un contesto di rialzo dell’inflazione. (riproduzione riservata)