Il futuro del lavoro? È già arrivato
Il futuro del lavoro? È già arrivato
Con lo scoppio del Covid-19, il mondo del lavoro ha operato in pochissimo tempo, e come mai in passato, profonde modifiche ai processi, alle strutture e ai luoghi fisici dellla produzione. La pandemia è stato il catalizzatore, ma secondo un'analisi della Columbia University, il nuovo modo di lavorare resterà a lungo, fondato su quattro nuovi pilastri

di Gabriele Capolino 22/05/2020 20:17

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Con lo scoppio della crisi di Covid-19, il mondo delle aziende produttrici ha operato in pochissimo tempo profonde modifiche ai processi, alle strutture e ai luoghi fisici come mai in passato: da come favorire il migliore accesso ai clienti sia offline che online, a come tenere in piedi la filiera degli approvvigionamenti in pieno lockdown. Secondo un’inchiesta del sito americano Quartz (cliccate qui per l'originale) molte soluzioni sono state sorprendentemente innovative.

Molto più prevedibile invece è stato il cambiamento del mondo degli uffici, dal modo di lavorare dei dirigenti, dei funzionari e degli impiegati. Non significa che i colletti bianchi non siano innovativi. Quartz sostiene che per certi versi, questa crisi li ha semplicemente catapultati direttamente in un mondo in cui ci si era incamminati da anni: il cosiddetto futuro del lavoro.

Jason Wingard, preside della Columbia University ‘s School of Professional Studies e docente di gestione del capitale umano, si è chiesto quali siano i fattori necessari per accelerare il passaggio a un luogo di lavoro più remoto, basato sui dati e incentrato su un maggiore impatto.

La pandemia è stato il catalizzatore, ma secondo Wingard i nuovi modi di lavorare resteranno a lungo, lungo quattro nuovi pilastri

Primo pilastro, orari flessibili

Dallo scoppio della pandemia, la vecchia definizione della parola ufficio è cambiata radicalmente. Si è estesa oltre i cubicoli e gli spazi di lavoro in comune per includere i tavoli della cucina, i divani e persino i bagni. Per Wingard anche la definizione di giornata lavorativa è cambiata; non è più limitata a un certo sottoinsieme di ore condivise da tutti i dipendenti. Soprattutto per i genitori, la giornata di lavoro è diventata tutto il tempo in cui possono inserirsi, ogni volta che scende il numero di persone che si contendono la loro attenzione.

E questo vale anche per la sfera della pubblica amministrazione: “Avevo chiesto un parere a una funzionaria della Regione Friuli Venezia Giulia circa la possibilità di avere una autorizzazione per tenere un corso di formazione” racconta un imprenditore friulano, “E la risposta mi è arrivata per mail a mezzogiorno di domenica”.

Senza i confini di un ufficio fisico o di un rigido orario di lavoro, i dipendenti sono stati costretti a stabilire - e a comunicare - la propria disponibilità, in base ai propri orari personali e ai livelli di produttività. Un tipico cambiamento da futuro del lavoro.

Ma, passata la fase emergenziale, non c’è il rischio di una discesa della produttività, come lamentano alcuni capi azienda? “Ci sono dei momenti in cui mi sono aggirato per casa urlando come un indemoniato” confessa (in presenza della moglie che annuisce) il senior partner di una società di consulenza strategica di Milano, “Il lavoro a casa priva di quella chimica che rende alcuni lavori e alcune funzioni degne di essere vissute”.

Secondo Wingard, al contrario, c’è il timore opposto: che, senza una linea di demarcazione netta tra ufficio e vita domestica, i dipendenti possano finire per lavorare troppo, citando un sondaggio condotto su più di 4.500 sviluppatori e tecnici,  in cui il 66% dei lavoratori a distanza ha riferito di sentirsi già cotto dallo stress. Il motivo? Più della metà ha citato orari di lavoro più lunghi.

Tenendo bene in mente questo rischio, i capi azienda dovrebbero combattere l'impulso a fare della microgestione dei propri team e agire invece come sostenitori dei nuovi dipendenti a distanza, incoraggiandoli a stabilire confini chiari e a proteggersi dall'esaurimento del lavoro a casa.

Secondo pilastro, misurare i dipendenti basandosi sui dati

Il professor Wingard sostiene che in un ambiente più flessibile, i capi non hanno bisogno di smettere di valutare le prestazioni dei dipendenti, anzi Dovranno semplicemente creare nuove metriche per misurare il loro successo, poiché non saranno più in grado di giudicare l'efficacia dei dipendenti per esempio sulla base delle ore passate in ufficio (per quello che può significare).

Google e Facebook hanno avvisato tutti i loro dipendenti che lavoreranno da remoto almeno fino alla fine del 2020 e Mark Zuckerberg, inoltre, ha optato per una sospensione di tutti gli eventi con più di 50 persone fino all’estate 2021. “Come potete immaginare” ha detto il portavoce del colosso di Menlo Park, “si tratta di una situazione in evoluzione“.

In Automattic, l'azienda tecnologica che ha creato WordPress, tutti i 1.180 dipendenti lavorano in remoto. Per misurare il successo individuale, ricorda Wingard, il Ceo Matt Mullenweg ha detto che l'azienda si concentra sugli output piuttosto che sugli input. Invece di valutare le ore o la disponibilità di un dipendente, Mullenweg chiede: "Che cosa state producendo ora, in realtà?". Metriche di successo da reinventare per ogni dipendente: per un addetto alle vendite, forse sarà il numero di telefonate fatte. Per un professionista delle risorse umane, forse sarà il tasso di turnover dei dipendenti. Occorre uno sforzo di co-creatività.

Poi, una volta stabilite le metriche, i capi devono comunicarle e programmare incontri con i membri del team per rispondere alle domande ed eliminare eventuali intoppo. Wingard consiglia di impostare anche gli incontro personali con i dipendenti con cadenza regolare: i dipendenti infatti manifestano una maggiore esigenza di feedback del loro operato quando sono lontani.

Sarà la fiducia la chiave più importante per la gestione dei dipendenti in remoto. Fiducia nel fatto che sono state assunte delle brave persone e che queste brave persone continueranno a svolgere il lavoro per il quale sono pagati. Questa fiducia permetterà ai leader di promuovere una cultura a distanza di successo sia durante la pandemia che oltre.

Terzo pilastro, mantenere l'impatto sociale

Per contrastare il coronavirus, le aziende hanno trovato molti modi per proteggere i propri dipendenti, dalla ricerca delle mascherine ai gel disinfettanti, e all’esterno hanno donato qualsiasi cosa, dai soldi alle unità di terapia intensiva ai milioni di mascherine per i carabinieri.

Solo carità pelosa, ansia da conquista di una buona immagine all’estero? Per alcuni è stato così certamente, ma il risultato finale è lo stesso: le aziende hanno ripreso il loro ruolo centrale di motore del bene sociale e difficilmente lo abbandoneranno, una volta che la pandemia si sarà evaporata.

Molti erano già su questa strada. Nell'agosto del 2019, la Business Roundtable, un gruppo di 181 capi azienda americani aveva ampliato la definizione di scopo di una società per includere "il sostegno alle comunità in cui lavoriamo". Oggi i dipendenti e i clienti hanno una profonda attenzione per i valori delle aziende con cui interagiscono. Secondo Wingard,  il futuro del lavoro ha ”il bene sociale fuso all’interno del suo nucleo”.

I capi azienda lungimiranti continueranno a dare priorità all'impatto sociale dell'azienda. Costruiranno relazioni a lungo termine con le organizzazioni no-profit, offrendo risorse, finanziamenti e opportunità di volontariato, e coltiveranno una cultura del posto di lavoro che investe in qualcosa di più del semplice profitto.

Quarto pilastro, costruire relazioni autentiche

Nel corso dei decenni, si sono dissolte molte formalità. Dalla cravatta in ufficio all’uso del lei o del voi tra colleghi o anche all’interno della catena gerarchica. Le moderne comunicazioni sul posto di lavoro sono piene di emoji e di abbreviazioni, in alcuni casi i tweet dei dipendenti riguardano anche dibattiti che una volta restavano all’interno dell’azienda (e molte volte provocano numerosi incidenti). Tutto ciò sarebbe stato inaccettabile solo una decina di anni fa.

Ora che tutti vivono insieme una stagione di crisi globale, anche le ultime parvenze di formalità sembrano  dileguarsi. Con i meeting di zoom ognuno è entrato nella casa del collega o del capo, ha conosciuto il suo gatto, i suoi familiari, anche se solo per un attimo, per dire ciao. Wingard sostiene che il termine stesso "business casual" usato per il codice di abbigliamento in ufficio, ha assunto un nuovo significato:  “gli incidenti o i contrattempi prima etichettati come "non professionali" sono ora solo "un altro giorno al lavoro". Ciò ha portato a interazioni sul posto di lavoro più autentiche e rilassate, dal docente della Columbia considerata un'altra componente chiave del futuro del lavoro.

C’è però un pericolo: che ogni interazione, anche se casuale, sia finalizzata a una transazione. Senza le macchinette del caffè in cui fare squadra o scambiarsi pettegolezzi e senza le battute in ufficio, i dipendenti finirebbero per sentirsi con i colleghi solo quando è necessario, quando serve qualcosa.

Ecco che i capi azienda devono combattere questo pericolo, incoraggiando connessioni più significative. Anche qui occorre sforzarsi in creatività e ogni paese fa cultura a sé: “Pranzi virtuali o happy hour, club del libro online e sfide di esercizi fisici di cucina, va incoraggiato tutto ciò che fa comunicare i membri del team su qualcosa di diverso dalla mera lista di cose da fare” sostiene Wingard.

Insomma, conclude il preside della Columbia, è difficile immaginare il giorno in cui il coronavirus non controllerà più la maggior parte degli aspetti della nostra vita, ma prima o poi arriverà. “Quel giorno, i capi azienda più intelligenti non si affretteranno a tornare ai vincoli delle formalità inutili, dei cubicoli o dei pendolari. Al contrario, accetteranno che il futuro del lavoro è già arrivato e, così facendo, prepareranno se stessi e i loro team a tutto ciò che verrà dopo”.